L’INL, con nota 713 del 16 settembre 2020, acquisito il nulla osta dall’Ufficio legislativo del Ministero del Lavoro, ha fornito le prime indicazioni di interesse per l’Ispettorato in relazione alle novità introdotte dal D.L. 104/2020 con riferimento, tra l’altro, alle disposizioni sui contratti a termine e le limitazioni dei licenziamenti per motivi oggettivi.
In relazione ai contratti a termine l’interpretazione dell’Ispettorato dei passaggi della norma che hanno sollevato maggiori dubbi interpretativi è la seguente:
- le disposizioni sulle proroghe e i rinnovi in deroga all’art. 21 del D.Lgs. 81/2015 comprendono anche il numero massimo di proroghe per cui, laddove il rapporto sia stato già oggetto di quattro proroghe sarà comunque possibile un’ulteriore proroga sempre per un periodo massimo di 12 mesi, così come sarà possibile rinnovarlo nel rispetto della durata massima di 24 mesi;
- il termine del 31 dicembre 2020 per la proroga o rinnovo è da intendersi come riferito esclusivamente alla formalizzazione della stessa proroga del rinnovo: la durata del rapporto potrà quindi protrarsi anche nel corso del 2021, fermo restando il limite complessivo dei 24 mesi;
- la nuova proroga o il rinnovo “agevolato” può essere adottata anche qualora il medesimo rapporto di lavoro sia stato prorogato o rinnovato in applicazione del previgente art. 93 del D.L. 34/2020, pur sempre nel rispetto del limite di durata massima di 24 mesi;
- per effetto dell’abrogazione del comma 1 bis dell’art. 93, introdotto in sede di conversione del D.L. 34/2020 (che prevedeva una proroga automatica dei contratti a termine in essere per un periodo equivalente alla sospensione da CIG) la proroga automatica fruita nel periodo di vigenza della predetta norma (18 luglio – 14 agosto) deve considerarsi “neutrale” in relazione al computo della durata massima di 24 mesi del contratto a tempo determinato;
- il rinnovo del contratto a termine in deroga assistita ai sensi dell’art. 19, comma 3, del D.Lgs. 81/2015 resta subordinato al rispetto delle condizioni di cui agli articoli 19, comma 1 e 21 del D.Lgs. 81/2015.
La lettura dell’Ispettorato, ovviamente ad uso interno, non aiuta a risolvere le perplessità che le nuove previsioni sui contratti a termine sollevano sia a fronte dello specifico dettato normativo sia a fronte degli orientamenti giurisprudenziali in materia.
Per quanto riguarda i licenziamenti collettivi e individuali per g.m.o. l’INL ritiene che, salvo eventuali modifiche in sede di conversione, il divieto di licenziamento “sembra operare” per il solo fatto che l’impresa non abbia esaurito il plafond di ore di CIG disponibili e ciò sia quando abbia fruito solo in parte delle stesse, sia quando non abbia affatto fruito della cassa integrazione. L’Ispettorato osserva anche che in tale ultimo caso, laddove il datore di lavoro non abbia ritenuto di fruire della CIG, il licenziamento sarebbe in ogni caso impedito dalla possibilità di accedere all’esonero dal versamento contributivo di cui all’art. 3. Alla cauta interpretazione dell’INL si aggiunge l’ulteriore complessità derivante dalle indicazioni fornite dall’INPS con circ. 105/2020 del 18.9.2020 che, dopo aver ricordato che la misura dell’esonero contributivo richiede l’autorizzazione preventiva della Commissione UE (in quanto aiuto di stato), consente alle aziende con più unità produttive di operare la scelta tra i due strumenti a seconda dell’unità interessata (“laddove la norma chiede al datore di lavoro di fare una scelta tra l’esonero in trattazione e i nuovi strumenti di integrazione salariale e laddove il datore di lavoro sia lo stesso, la scelta dovrà essere operata per singola unità produttiva”). Da capire se tale lettura consenta di sostenere la coesistenza di un diverso termine di limitazione dei licenziamenti all’interno della stessa azienda.